Se le misure contro il COVID19 interrompono il nostro sistema di relazioni sociali, dovremmo forse utilizzare mascherine trasparenti e modi sicuri per mantenere i contatti fisici? Qualche tempo fa, un giornalista di Bruxelles mi ha chiesto di esprimere un parere sull’obbligo, da poco introdotto, di indossare la mascherina. Questo avvenne all’inizio della seconda ondata della pandemia e dopo l’inasprimento delle misure di sicurezza in provincia di Anversa. Non mi è dispiaciuto poter chiarire la mia opinione attraverso una breve intervista sui media, perché una cosa del genere può essere utilizzata in un contesto sbagliato, ad esempio con titoli come ′′ Lo psicotraumatologo mette in guardia dall’obbligo della mascherina” ecc.

Penso ancora che dovremmo indossare le mascherine.

Dobbiamo mostrare senso civico, ma allo stesso tempo riflettere sull’impatto di queste misure.

La neurocezione ci permette di comprendere l’impatto neurobiologico e psicologico dell’indossare mascherine in modo permanente. La neurocezione è un’esperienza senza parole: è la reazione del sistema nervoso autonomo ai segnali che giungono non solo dal mondo che ci circonda, ma anche dal nostro corpo. Informazioni dagli organi interni (cuore, polmoni, intestino), segnali su dove ci troviamo e sulle persone che ci circondano sono tutte parti importanti della neurocezione. Prima che il cervello capisca e dia un significato, il sistema nervoso autonomo fa una valutazione della situazione attraverso il processo di neurocezione, e inizia a formulare una risposta. In altre parole: la neurocezione determina se ci sentiamo al sicuro e se è sicuro aprirsi all’altro; la sicurezza neurocettiva influenza il nostro sistema di relazioni sociali. La corteccia temporale risponde a volti familiari, voci e movimenti delle mani, e si domanda: ′′Questa persona è sicura e affidabile?”. Inoltre, essa comunica con l’amigdala, al centro del nostro cervello, il proverbiale ‘radar del cervello’, per valutare movimenti e intenzioni.

La mascherina interrompe questo sistema.

La nostra reazione neurocettiva può essere più o meno intuibile dall’esterno. All’interno, possiamo sentire i cambiamenti attraverso il battito cardiaco, i processi digestivi, le sensazioni della gola o gli impulsi comportamentali che avvertiamo, ma che non trasformiamo in azione. Anche questa inibizione è palpabile. I cambiamenti a volte sono visibili al mondo esterno, nella nostra espressione, nel tono della nostra voce, nei nostri gesti e nel nostro atteggiamento. Per molti dei nostri clienti al De Weg Wijzer – Expertisecentrum voor Trauma en Rouw tuttavia, la loro neurocezione, a causa di ciò che hanno vissuto da bambini o in caso di traumi, non è adeguatamente coordinata: spesso non riescono a gestire le proprie reazioni in un ambiente sicuro, attivando i propri sistemi di difesa. Oppure, al contrario, non attivano i meccanismi di difesa in un ambiente rischioso. Lo notiamo spesso nei pazienti traumatizzati, che monitorano costantemente l’ambiente terapeutico e il rapporto terapeutico.

La mascherina rende questo processo notevolmente più difficile.

Sembra che, nella maggior parte dei pazienti con traumi, questo attivi parte di una vecchia storia conservata nel corpo, che alla fine assume il controllo. Queste persone riferiscono un’esperienza di paura quasi permanente dall’inizio della crisi COVID19. Le mascherine costituiscono una specie di ‘osso biologico’, ostacolando il sistema di coinvolgimento sociale tra le persone. Una sorta di Boneness organica, che causa la scomparsa di quei segnali reciproci che le persone, in modo permanente (e di solito in modo inconsapevole), si mandano attraverso l’interazione faccia a faccia, da espressione a espressione, durante una conversazione o un contatto, anche da remoto. La mascherina impedisce quei segnali. Nel contatto umano, i nostri occhi trasmettono e cercano continuamente segnali di sicurezza. L’area del contorno occhi, quella delle tristemente note ‘zampe di gallina’ è il luogo dove inizia la ricerca di segnali di sicurezza.

Uno sguardo può infonderci sicurezza, così come esprimere minaccia, e quindi pericolo.

L’osservazione neurocettiva dell’area attorno alla bocca è altrettanto importante. Provate a pensare, in che modo un sorriso serio differisce da un sorriso stretto o infuriato? Le mascherine e le protezioni che indossiamo durante la crisi COVID19 sono necessarie per proteggere noi stessi e i nostri cari, ma creano delle difficoltà a livello biologico e sociale. La gente si stanca, protesta, e questo è comprensibile (sebbene certamente da disapprovare). Come esseri sociali, siamo abituati al contatto. Sia fisico, sia attraverso le nostre espressioni facciali. E’ un peccato che nella maggior parte delle correnti di psicoterapia, a differenza dell’Oriente, il ‘giusto contatto’ non venga insegnato e utilizzato come strumento efficace. Freud, una volta, era un grande sostenitore del contatto, salvo proibirlo in seguito in quanto sosteneva che avrebbe ridotto la motivazione del paziente al cambiamento. E’ anche vero che, purtroppo, molti pazienti sono stati danneggiati da contatti inappropriati o maliziosi, e non conoscono forme di tocco non sessuali. Questo rende il contatto interumano un’area molto difficile e confusa. Negli esseri umani, tuttavia, ′′Il senso del tatto è il primo a svilupparsi nel grembo materno. La pelle è l’organo più grande dell’uomo e il tatto è molto importante per la nostra crescita e sviluppo.”

Il tocco genera emozioni, causa cambiamenti nello stato emotivo e comunica stati d’animo.

Nel paradigma della Still Face, la madre non risponde al suo bambino con la mimica facciale, mantenendo invece un’espressione fissa e immutata. Grazie a questo esperimento, Tronik ha scoperto che l’impatto fisiologico del viso non disponibile causa un grande turbamento emotivo nel bambino. Tuttavia, l’impatto diminuisce se ai due viene permesso di toccarsi. Altri studi mostrano come gli adulti che ricevono un massaggio a pressione moderata, come lo shiatsu, riportano una diminuzione dell’attivazione del sistema nervoso simpatico e un aumento dell’attività vagale (la stimolazione del nervo vago infonde sensazione sicurezza e pace), mentre una pressione più forte e circoscritta aumenta la reattività del sistema nervoso (Diego & Field, 2009). Durante questo periodo COVID19, molte persone sperimentano una terribile mancanza di con-tatto, empatia ed emozioni positive. Penso principalmente agli anziani e malati, sia a casa che in strutture di vario genere, per i quali un contatto empatico e amorevole può essere fonte di grande conforto. Le attuali misure COVID19, quindi, non creano solo un’interruzione del sistema di neurocezione, responsabile delle sensazioni di relax e sicurezza attraverso l’espressione facciale dell’altro, ma generano anche il fenomeno, individuato da Tiffany Field, del Touch Institute della Miami School of Medicine, e chiamato “fame della pelle”(Campo, 2014).

Spero che presto, se dovremo continuare a indossare mascherine, potremo disporre di dispositivi trasparenti, e che troveremo un modo per mantenere il contatto fisico con il prossimo, in modo che le nostre relazioni sociali ne risentano in misura minore.

Erik De Soir

Fonte: La teoria polivagale in terapia – il ritmo della regolazione; Deb Dana-Publisher Human