di Massimo Mari
Secondo Doyne Farmer, Professore di matematica alla Oxford University, dovrebbe esistere un principio di base per la teoria della complessità. Né il primo né il secondo principio della termodinamica, inerenti la conservazione dell’energia, possono infatti spiegare i comportamenti degli organismi complessi adattivi, che tendono naturalmente verso il margine del caos.
Dove si collocano i meccanismi naturali, di emergenza e di autorganizzazione? Perché la materia diventa sempre più organizzata su grande scala ma al tempo stesso sempre più disorganizzata su piccola scala?
Il ricercatore Per Bak, mentre stava studiando un fenomeno della materia condensata noto come ‘onde di densità di carica’, scoprì quello che chiamò criticità autorganizzata. Questa consiste nella capacità di un sistema complesso di auto organizzarsi, di fronte ad una situazione di costante sollecitazione che tende ad allontanarlo dalla zona definita margine del caos, per riavvicinarsi a questa attraverso un processo di riorganizzazione interna (vedi Immagine).
Nella Fisica e nella Musica come nella Società esistono cambiamenti di stato o di paradigma, che bene sono rappresentati dalla epistemologia della complessità; il nostro Dipartimento di salute mentale di Area Vasta credo possa essere un esempio di notevole sforzo concettuale riorganizzativo che cerca di fronteggiare la deriva caotica scatenata dall’ideologia della ‘Crisi Infinita’. Quest’ultima è funzionale all’abolizione del precedente ordine sociale democratico partecipativo a favore di una dimensione di gestione del potere strettamente gerarchica del tipo “Big Brother”, ben rappresentato da George Orwell nel romanzo “1984” scritto nel 1948.
L’oggetto di questa riflessione verte ad evidenziare quali siano almeno alcune delle forze collettive di psicologia sociale che spingono il sistema verso un riavvicinamento al margine del caos, senza sfociare in un ordine assoluto che sarebbe fatalmente realizzato.
Occorre che il nostro gruppo trovi, come direbbe Bion, una Forte Funzione ALFA collettiva che ci permetta di mantenere la nostra “rêverie istituzionale”, inventando insieme un futuro operativo di “Bellessere” come direbbe Enzo Spaltro. Occorre immaginare insieme una nuova modalità organizzativa del lavoro, che ci permetta di tornare ad appartenere alle nostre équipe di lavoro, di essere pertinenti al compito di curare le famiglie in trattamento, di comunicare facilmente sentimenti e concetti, di poter contare sui colleghi e sui dispositivi di cura superando le storiche antipatie, di mantenere una buona cooperazione idonea a contenere i forti attacchi al legame sempre presenti nella psicosi, di poter apprendere le reali possibilità di operare un cambiamento interno ed esterno in un contesto sociale tanto mutato.
Credo che una possibile interpretazione, che permetta un movimento dall’esplicito all’implicito e viceversa ritrovando una dinamica coerente in questa tempesta di sabbia in cui ci si sta muovendo, abbia a che vedere con cercare di “non sprecare il patrimonio che ci ha lasciato chi ci ha preceduto”: nel nostro DSM abbiamo risorse culturali, strutturali, umane, sociali di grande livello che di fatto sono sottoutilizzate a causa di una grande legame all’appartenenza convinta al vecchio modello di funzionamento.
Il vecchio modello di funzionamento, chiaramente, è assolutamente imprescindibile, ma non è certo privo dei difetti che tutti conosciamo. Chi ci ha preceduto ha potuto effettuare con grande implicazione personale una rivoluzione socioculturale di enorme livello come la legge 180 ed oggi le nostre comodità ed incurie, piano piano, corrodono lo spessore politico di quanto realizzato. Come dice il nostro caro amico Enzo Spaltro: “il futuro lo si inventa!”
Anche se nel nostro mondo pieno di “imprigionanti facilitazioni” è estremamente difficile districarsi; pertanto bisogna costruire, con i dispositivi formativi di cui dobbiamo disporre, di alcune idee ben chiare ed aggreganti.
Articolo tratto da: Infomind, num. 23 – anno VII – gennaio 2017